I mosaici romani dell'epoca di Leone I (440-461)

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MarcoSupersonic
view post Posted on 17/6/2009, 10:26




Il pontificato di Leone Magno (440-461) fu importante non solo dal lato politico ed “ideologico”, per la sua forte affermazione d’autorità del papato, ma anche dal punto di vista artistico: durante questi anni, nuovi temi furono introdotti, dei modi di narrare vennero “canonizzati” e vi fu un vero e proprio “strappo” stilistico in quel “lento trasmutare dell’arte antica verso il medioevo”.
Purtroppo, le opere realizzate da Leone sono quasi interamente perdute: tralasciando la discussa (a livello di datazione) abside lateranense, gli si possono sicuramente ascrivere la facciata, la decorazione della navata e dell'arco trionfale della basilica di S. Pietro, e la stessa decorazione di navata (con storie neo e vetero testamentarie) ed arco nella basilica di S. Paolo fuori le mura. Mentre la basilica vaticana di Costantino fu demolita, com’è noto, nel sec. XVI, la basilica ostiense era pervenuta quasi intatta all’epoca contemporanea, ma fu devastata dall’incendio del 1823 che però, stando almeno alle incisioni , non pareva aver danneggiato sensibilmente arco ed abside. Tuttavia l’arco ebbe bisogno di restauri, nel corso dei quali, per motivi ignoti, il mosaico originale andò distrutto, e venne realizzato ex novo quello attuale. Per fortuna, possediamo una buona documentazione grafica, che ci aiuta a comprendere la situazione originale della composizione: un busto clipeato di Cristo, che reggeva una croce sottile, attorniato da due angeli e da 12 vegliardi per lato, in gruppi da 6. Sopra di loro, gli animali simbolici, sotto di loro, gli apostoli Pietro e Paolo. Il riferimento all’imperatrice Galla Placidia nell’iscrizione, ci consente di datare con ulteriore precisione l’opera tra il 440 ed il 450, ed è una datazione importante, perché quello paolina è la più antica composizione monumentale a tema apocalittico che ci sia pervenuta. Non rappresenta certo una descrizione didascalica dell’Apocalisse ma è sicuramente molto di più rispetto ai semplici accenni contenuti nelle opere precedenti delle quali siamo informati.

[img=http://img268.imageshack.us/img268/8887/5sec1.th.jpg]
[img=http://img530.imageshack.us/img530/3565/sanpaolofuorilemuraarco.th.jpg]


Peraltro, l’arco ostiense ci consente di meglio interpretare e capire anche i lavori di Leone sull’antica facciata vaticana, che ci è nota da una miniatura e che rappresenta una situazione abbastanza simile se non per la presenza dell’agnello in luogo del clipeo: un’innovazione però questa con tutta probabilità non ascrivibile a Leone, bensì a Sergio I. Sulla facciata petrina mancava ogni accenno di notazione paesaggistica e le figure, stando alle testimonianze, campeggiavano su un fondo oro, il che, insieme all’unico brano superstite della composizione ostiense (la testa di Pietro alle grotte vaticane) ci spinge ad affermare che, durante il pontificato di Leone I, vi fu uno scarto improvviso verso una raffigurazione astrattizzante, che rinuncia all’impostazione spaziale e tende a ridurre le figure ad uno schematismo lineare. Tale scarto è ancora più evidente se si confrontano le realizzazioni di Sisto III (S. Maria Maggiore) e quelle dell’immediato successore di Leone, papa Illaro, che se fu fedele collaboratore e continuatore dell’opera leonina in politica, non altrettanto si può considerare in ambito artistico: le sue due opere più importanti, il sacello di San Giovanni Evangelista nel Battistero Lateranense, e la trasformazione di un edificio presistente nella Cappella della Santa Croce, evidenziano un gusto decisamente incline al compromesso con il classicismo. In S. Giovanni, l’Agnello mistico trova posto all’interno di un ricchissimo festone di fiori e frutti, mentre in una rigida composizione geometrica, gli uccelli e le coppe si presentano come tipici elementi di “repertorio imperiale”: quasi tutta risalente al II sec. era la decorazione dell’edificio trasformato in cappella della Vera Croce, ma l’unica aggiunta di Illaro, un clipeo con la croce, almeno secondo le testimonianze, pareva (almento stando alle testimonianze) integrarsi a meraviglia nell’antica decorazione.

[img=http://img530.imageshack.us/img530/7819/sanpietrovsec44061facci.th.jpg]
[img=http://img193.imageshack.us/img193/6836/battisterolateranense46.th.jpg]
 
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view post Posted on 17/6/2009, 14:30

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Per fortuna, possediamo una buona documentazione grafica, che ci aiuta a comprendere la situazione originale della composizione: un busto clipeato di Cristo, che reggeva una croce sottile, attorniato da due angeli e da 12 vegliardi per lato, in gruppi da 6. Sopra di loro, gli animali simbolici, sotto di loro, gli apostoli Pietro e Paolo.

Per quanto riguarda l' "astrattismo" della rappresentazione, mi parrebbe non fuori luogo pensare a possibili influenze orientali. D'altra parte, il periodo di pontificato di Leone I, almeno in parte (sempre se non sbaglio), dovrebbe corrispondere storicamente ad un avvicinamento tra Impero d'Oriente e Impero d'Occidente e questo, in effetti, mi sembra che potrebbe essere significativo.
Nella composizione, segnalerei poi il fatto che gli animali apocalittici sembrano essere privi dei libri dei vangeli. Questo dovrebbe essere una confema che l'identificazione del tetramorfo con i simboli degli evangelisti è progressivamente avvenuta durante il V secolo.
Per quanto riguarda la dimensione propriamente apocalittica, almeno per quel che si ricava dal disegno, non mi sembrerebbe impossibile che essa sia collegata al tema dell'Ascensione. Infatti, secondo il racconto degli "Atti", al momento dell'Ascensione, Gesù salì in cielo tra due angeli "e allo stesso modo scenderà sulla terra alla Fine dei tempi". Quindi la presenza dei due angeli affianco al Cristo potrebbe alludere a questo.
Se poi nel tamburo dell'abside sono per caso rappresentati anche gli apostoli, allora forse la cosa potrebbe avere una sua ulteriore coerenza.
CITAZIONE
In S. Giovanni, l’Agnello mistico trova posto all’interno di un ricchissimo festone di fiori e frutti, mentre in una rigida composizione geometrica, gli uccelli e le coppe si presentano come tipici elementi di “repertorio imperiale”: quasi tutta risalente al II sec. era la decorazione dell’edificio trasformato in cappella della Vera Croce, ma l’unica aggiunta di Illaro, un clipeo con la croce, almeno secondo le testimonianze, pareva (almento stando alle testimonianze) integrarsi a meraviglia nell’antica decorazione.

Bhè, l'Agnello in facciata in S. Paolo fuori le mura dovrebbe riferirsi al simbolismo che riguarda ogni chiesa e che è quello della "Casa di Dio", ovvero della Gerusalemme celeste.
Nel caso del Sacello di S. Giovanni, mi pare che la pianta quadrangolare rimandi ulteriormente a quella della Gerusalemme celeste, per cui qui, ancor più che altrove, l'Agnello è la lampada che, secondo l'Apocalisse, illumina la Gerusalemme celeste.
Per quanto rigurda il classicismo dei mosaici, mi pare che la cosa non sia poi troppo strana. Se non sbaglio (queste, in effetti, sono questioni sulle quali non sono granché informato), a Roma (a differenza, ad es., da Ravenna), ancora nel VI secolo, i rimandi al naturalismo classico erano ancora espressi nei mosaici.
Ciao.
 
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MarcoSupersonic
view post Posted on 18/6/2009, 11:31




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Per quanto riguarda l' "astrattismo" della rappresentazione, mi parrebbe non fuori luogo pensare a possibili influenze orientali. D'altra parte, il periodo di pontificato di Leone I, almeno in parte (sempre se non sbaglio), dovrebbe corrispondere storicamente ad un avvicinamento tra Impero d'Oriente e Impero d'Occidente e questo, in effetti, mi sembra che potrebbe essere significativo

Se per avvicinamento s'intende che fu Leone a imporsi sulla figure imperiali (e soprattutto ecclesiastiche) orientali, allora si può parlare certamente di avvicinamento. Non credo che questo possa tradursi automaticamente, almeno nel sec. V in una convergenza stilistica che veda Roma in posizione subordinata: forse a questo proposito dovrebbe e potrebbe essere più pertinente la documentata committenza di Galla Placidia, che poteva concretarsi, tanto per fare un'ipotesi buttata lì, nell'invio di manodopera ravennate (mi pare anche, ma vado a memoria, che a parte il sacello detto di Galla Placidia, si sappia ben poco di preciso sulle condizioni dell'arte ravennate pre teodoriciana, a causa della perdita della basilica della SS.Croce e dei mosaici in S. Giovanni). In ogni caso, se ho ben inteso quello che ho letto in questi libri, mi pare che gli storici tendano ad insistere sulla sostanziale autonomia dell'arte romana da quella bizantina, fatto salvo il periodo che va dalla fine del sec. VI alla fine del sec VII. In tutti i periodi esterni a questo, le convergenze sono da intendere come parallelismi; in altre parole, l'arte romana, secondo almeno quello che scrivono Matthiae e Kitzinger, aveva in sé i "germi" della svolta "astrattizzante" e, testualmente "va mutando coerentemente con le componenti della sua complessa cultura figurativa, le forme di espressione, secondo una linea di rigorosa consequenzialità" che arriverà fino al mosaico della basilica dei SS. Cosma e Damiano.

CITAZIONE
Se poi nel tamburo dell'abside sono per caso rappresentati anche gli apostoli, allora forse la cosa potrebbe avere una sua ulteriore coerenza.

L'abside attuale appartiene al pontificato di papa Onorio (1198-1216) e non ho notizie precise su quanto ricalchi quello che ovviamente doveva esistere al tempo di Leone. Ad occhio sembra riprendere alcuni elementi tipiacamente paleocristiani per cui, come in altri casi, potrebbe riflettere, o quanto meno ispirarsi, alla situazione iconografica più antica.

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view post Posted on 18/6/2009, 13:19

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Se per avvicinamento s'intende che fu Leone a imporsi sulla figure imperiali (e soprattutto ecclesiastiche) orientali, allora si può parlare certamente di avvicinamento. Non credo che questo possa tradursi automaticamente, almeno nel sec. V in una convergenza stilistica che veda Roma in posizione subordinata: forse a questo proposito dovrebbe e potrebbe essere più pertinente la documentata committenza di Galla Placidia

Mha, come si vede, queste questioni conducono a sollevare questioni che hanno direttamente a che fare con la storia dell'arte, per cui mi trovo un po' spiazzato.
Ad ogni modo, se non sbaglio, il periodo del pontificato di Leone I corrisponde all'incirca la periodo in cui vi fu un riavvicinamento tra le corti (sino allora piuttosto ostili l'una all'altra) dell'Impero d'Oriente e di quello d'Occidente. Questo riavvicinamento sarebbe stato determinato dall'esigenza comune di sconfiggere gli Unni, per cui non mi parrebbe impossibile che i rapporti di collaborazione tra l'imperatore d'Oriente Marciano ed il magister militum occidentale Ezio (rapporti che implicavano riconoscimenti anche sul piano dinastico e giuridico) abbiano potuto anche comportare l'arrivo in Occidente di maestranze orientali. Tra l'altro, sempre se non sbaglio, anche Galla Placidia trascorse un certo periodo della propria esistenza a Costantinopoli.
Naturalmente, come si vede, quanto sopra riguarda avvenimenti storici e, francamente, non sono in grado di affermare con certezza se tutto ciò abbia potuto avere un influsso (diretto? Indiretto?) sulla storia dell'arte.
CITAZIONE
mi pare anche, ma vado a memoria, che a parte il sacello detto di Galla Placidia, si sappia ben poco di preciso sulle condizioni dell'arte ravennate pre teodoriciana, a causa della perdita della basilica della SS.Croce e dei mosaici in S. Giovanni)

Già, è vero. Purtuttavia, almeno per quel che mi è stato riferito ed - in fondo - anche per quel che si nota - l'arte teodoriciana ravennate è assai classicheggiante.
CITAZIONE
in altre parole, l'arte romana, secondo almeno quello che scrivono Matthiae e Kitzinger, aveva in sé i "germi" della svolta "astrattizzante" e, testualmente "va mutando coerentemente con le componenti della sua complessa cultura figurativa, le forme di espressione, secondo una linea di rigorosa consequenzialità" che arriverà fino al mosaico della basilica dei SS. Cosma e Damiano.

Bhè, mi pare che nell'arte romana si ritrovi un'idea di "astrazione" sin dai tempi degli albori del Dominato (Diocleziano, poi Costantino, ecc...). Direi anche che parlare di "germi" è intrigante ed anche coerente in termini di storia dell'arte, tuttavia mi sembra che, qui, si pone in modo piuttosto netto il quesito del "perché" ciò avvenne.
CITAZIONE
L'abside attuale appartiene al pontificato di papa Onorio (1198-1216) e non ho notizie precise su quanto ricalchi quello che ovviamente doveva esistere al tempo di Leone. Ad occhio sembra riprendere alcuni elementi tipiacamente paleocristiani per cui, come in altri casi, potrebbe riflettere, o quanto meno ispirarsi, alla situazione iconografica più antica.

Grazie per l'immagine. Forse qualche apostolo è presente ma non mi sembra la loro presenza, così ridotta in dimensioni, possa essere messa in relazione logica con le immagini dell'arco trionfale.
Solo ora poi mi rendo conto che il tamburo dell'abside è stato radicalmente restaurato per cui direi che quanto suggerivo a proposito degli apostoli non ha in realtà ragione di essere.
Ciao.
 
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MarcoSupersonic
view post Posted on 19/6/2009, 12:50




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Ad ogni modo, se non sbaglio, il periodo del pontificato di Leone I corrisponde all'incirca la periodo in cui vi fu un riavvicinamento tra le corti (sino allora piuttosto ostili l'una all'altra) dell'Impero d'Oriente e di quello d'Occidente. Questo riavvicinamento sarebbe stato determinato dall'esigenza comune di sconfiggere gli Unni, per cui non mi parrebbe impossibile che i rapporti di collaborazione tra l'imperatore d'Oriente Marciano ed il magister militum occidentale Ezio (rapporti che implicavano riconoscimenti anche sul piano dinastico e giuridico) abbiano potuto anche comportare l'arrivo in Occidente di maestranze orientali. Tra l'altro, sempre se non sbaglio, anche Galla Placidia trascorse un certo periodo della propria esistenza a Costantinopoli.

Mah, in parte è vero, però come ben sai, i rapporti tra Roma e Costantinopoli erano come il tempo inglese: il sole e le nubi s'alternavano continuamente, e pù spesso, pioveva. Se è vero che ci poté essere una convergenza tra Ezio e Marciano, è anche vero che Marciano era appena successo a Teodosio II, e fu sotto Teodosio che si svolse quel concilio di Efeso noto, proprio da una definizione di Leone, come "concilio dei ladroni", condannato dal papa ed invece riconosciuto come ortodosso dall'imperatore, durante il quale peraltro subì l'imprigionamento il diacono Ilaro, che - pare - prigioniero a Costantinopoli fece voto a S. Giovanni, qualora avesse avuto salva la vita, di costruirgli quell'oratorio di cui abbiamo trattato prima.
L'iscrizione di San Paolo, dove compare il nome di Galla Placidia, necessita di porre i lavori prima della riconciliazione del 451-52. Non abbiamo nessun riferimento invece per quelli in San Pietro: l'unica congettura che si può fare, è che essendo la basilica petrina la più importante, abbia ricevuto le attenzioni papali per prima. Ma non è nulla più di una congettura.
Galla Placidia trascorse in effetti qualche tempo a Costantinopoli: ma i suoi rapporti con la corte orientale furono buoni solo dopo la morte di Onorio, quando Teodosio II preferì il "mezzo parente" Valentiniano III, figlio di Galla, a quel Giovanni Primicerio designato dal senato romano.
Comunque queste corti erano tutte un intrigo, e ciò che valeva il giorno prima poteva facilmente cambiare il giorno dopo, come si evince anche dalla sorte di Ezio e, ahinoi, anche di Stilicone qualche tempo prima.

Già che mi trovo, aggiungo questo, anche se usciamo fuori dai limiti del pontificato di Leone.

Per l'evoluzione storica dei modi pittorici in Roma nella seconda metà del sec. V dovevano avere un interesse assai notevole i due mosaici perduti, ma noti da copie, di S. Agata dei Goti e di S. Andrea in Catabarbara. Il primo fu eseguito per un voto di Flavio Ricimero, generale goto romanizzato di dignità consolare, fra il 462 ed il 470, nell'abside della chiesa di S. Agata che apparteneva alla comunità ariana di Roma. Al centro della composizione il Cristo nimbato sedeva sul globo, aprendo il braccio destro nel gesto tradizionale dell'oratore (equivocato dal copista) e reggendo con la sinistra il libro aperto. Ai lati, frontali e su una sola fila, erano 6 per parte gli apostoli stanti, senza nimbo e con il rotulo. La composizione di S. Agata dei Goti si riallacciava al vecchio tema iconografico del Cristo docente, ma aveva perduto ogni spigliata vivacità naturalistica per cristallizzarsi in uno schematismo rigido, dovuto all'accento posto sulla trascendenza dell'insegnamento divino. Forse il mosaico si inseriva in quella corrente stilistica cui spettavano decorazioni leoniane delle due basiliche, vaticana e ostiense; con ogni probabilità rappresentava uno stadio più avanzato delle opere coeve di Ravenna nel compromesso tra il naturalismo classico e la trascendenza cristiana.

[img=http://img10.imageshack.us/img10/2436/santagatadeigoti46270ci.th.jpg]

Meglio si puntualizza invece la posizione storica del mosaico che un altro goto, Flavio Valila Teodosio, fece eseguire nella basilica privata di Giunio Basso, convertita in edificio di culto, intitolato all'apostolo Andrea, al tempo del papa Simplicio (468-483). Lo schema compositivo era solo a 7 figure ed il Cristo nimbato stava sul piccolo monte con i 4 fiumi simbolici, il braccio destro aperto in gesto oratorio, nella sinistra un rotulo. Intorno erano allineati 6 soli apostoli senza nimbo, con Pietro e Paolo nella posizione abituale. Il secondo di destra era frontale e benedicente. Supponendo sempre la fedeltà del copista, si è supposto che esso fosse Andrea, il titolare del santuario. Non è facile stabilire fino a quel punto, ma sicuramente il mosaico di S. Andrea in Catabarbara affondava le sue radici nel più profondo della tradizione locale. Esso fu il collegamento tra l'abside dei SS. Cosma e Damiano e un altro grande esemplare sconosciuto, forse l'antica abside lateranense, spiegando nello stesso tempo la fortuna che ebbe per tutto il medioevo romano la composizione absidale e 7 figure. A questo proposito è stato proposto un raffronto tra il mosaico di S. Andrea e la cassetta eburnea di Pola. Si deve pure ricordare che le absidi delle due chiese di S. Agata e di S. Andrea erano quasi identiche nelle dimensioni; ciò esclude la soluzione semplicistica che il secondo mosaicista abbia ridotto il numero delle figure per ragioni di spazio. A lui non spetterebbe però il merito di aver risolto il problema compositivo della schema a 7 figure, quanto di avegli dato quella forma più corrente, comprensiva ed aggiornata che gli valse in seguito la grande fortuna avuta per tutto il medioevo.

[img=http://img25.imageshack.us/img25/3097/santandreaincatabarbara.th.jpg]

Saluti
 
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view post Posted on 19/6/2009, 17:10

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Il primo fu eseguito per un voto di Flavio Ricimero, generale goto romanizzato di dignità consolare, fra il 462 ed il 470, nell'abside della chiesa di S. Agata che apparteneva alla comunità ariana di Roma. Al centro della composizione il Cristo nimbato sedeva sul globo, aprendo il braccio destro nel gesto tradizionale dell'oratore (equivocato dal copista) e reggendo con la sinistra il libro aperto. Ai lati, frontali e su una sola fila, erano 6 per parte gli apostoli stanti, senza nimbo e con il rotulo. La composizione di S. Agata dei Goti si riallacciava al vecchio tema iconografico del Cristo docente, ma aveva perduto ogni spigliata vivacità naturalistica per cristallizzarsi in uno schematismo rigido, dovuto all'accento posto sulla trascendenza dell'insegnamento divino. Forse il mosaico si inseriva in quella corrente stilistica cui spettavano decorazioni leoniane delle due basiliche, vaticana e ostiense; con ogni probabilità rappresentava uno stadio più avanzato delle opere coeve di Ravenna nel compromesso tra il naturalismo classico e la trascendenza cristiana.

Interessante il disegno. Mi pare però che, anche qui, il libro aperto (che dovrebbe essere il libro del destino degli uomini) potrebbe far immaginare qualche accenno apocalittico. Chi è poi il personaggio che poi si vede al di sotto? Era originariamente nel tamburo dell'abside?
CITAZIONE
Si deve pure ricordare che le absidi delle due chiese di S. Agata e di S. Andrea erano quasi identiche nelle dimensioni; ciò esclude la soluzione semplicistica che il secondo mosaicista abbia ridotto il numero delle figure per ragioni di spazio. A lui non spetterebbe però il merito di aver risolto il problema compositivo della schema a 7 figure, quanto di avegli dato quella forma più corrente, comprensiva ed aggiornata che gli valse in seguito la grande fortuna avuta per tutto il medioevo.

Bhè, per quel che posso dire, il numero 7 ricorre spesso nelle absidi bizantine. Basta considerare diverse chiese bizantine, le quali sono internamente semicircolari, ma hanno esternamente 7 lati. Il tema, in generale, dovrebbe essere quello del "compimento" di tutto.
Ciao.
 
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MarcoSupersonic
view post Posted on 19/6/2009, 20:06




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Chi è poi il personaggio che poi si vede al di sotto? Era originariamente nel tamburo dell'abside?

Mistero fitto: del resto queste figure vengono dal libro di Giovanni Ciampini - Vetera Monimenta ecc. (1690), citato da un autore, e che mi sono procurato su http://www.archive.org/index.php
perché non sono proprio buono a giudicare le opere d'arte sulla base delle descrizioni. Il libro è interamente in latino ed io mi sono limitato, come i bambini, a guardare le figure!!

CITAZIONE
Bhè, l'Agnello in facciata in S. Paolo fuori le mura dovrebbe riferirsi al simbolismo che riguarda ogni chiesa e che è quello della "Casa di Dio", ovvero della Gerusalemme celeste.

Mi è tornata in mente una domanda che m'ero dimenticato di farti: vorrei qualche chiaramento a proposito del simbolismo dell'agnello...non è una rappresentazione allegorica di Cristo come "agnello di Dio", ovvero sacrificio di espiazione per i peccati dell'uomo?

E già che mi trovo...
CITAZIONE
Nella composizione, segnalerei poi il fatto che gli animali apocalittici sembrano essere privi dei libri dei vangeli. Questo dovrebbe essere una confema che l'identificazione del tetramorfo con i simboli degli evangelisti è progressivamente avvenuta durante il V secolo.

C'erano due letture diverse, quella di S. Ireneo e di S. Ippolito, a riguardo dell'identificazione dei vari animali simbolici con gli evangelisti: mi pare che S. Girolamo prediligesse quella di Ireneo, S. Agostino fosse per quella di Ippolito, ed in ultimo, sulla scia della Vulgata, si seguì l'identificazioni girolomina. Ma comparendo "separati" dovrebbero essere sempre e comunque simboli evangelici, no? Quelle citate nell'Apocalisse non erano esseri a 4 faccie? Poi non ho capito bene come la visione apocalittica si legasse con quella di Ezechiele, anzi, per la verità ho capito ben poco della visione di Ezechiele, che sarà stato il grande profeta che fu ma, bontà sua, non si spiegava esattamente in maniera semplice...

Ciao
 
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view post Posted on 20/6/2009, 09:20

Stupor Mundi

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Mi è tornata in mente una domanda che m'ero dimenticato di farti: vorrei qualche chiaramento a proposito del simbolismo dell'agnello...non è una rappresentazione allegorica di Cristo come "agnello di Dio", ovvero sacrificio di espiazione per i peccati dell'uomo?

Quando l'Agnello si trova in posizione elevata rispetto alla composizione ed è (spesso ma non sempre) circondato da una sorta di cornice circolare (cerchio = cielo) che può essere anche una corona di foglie ecc..., allora il riferimento dovrebbe essere ad Ap. 21,23 "E la città non ha bisogno di sole, né di luna che risplendano in lei, perché la illumina la gloria di Dio, e l’Agnello è il suo luminare".
Naturalmente l'Agnello è il Cristo e nella stessa Apocalisse esso è richiamato ad indicare appunto il sacrificio del Salvatore.
Tant'è che solitamente l'Agnello è anche "crucifero", appunto con riferimento anche alla morte sulla croce. Inoltre spesso l'Agnello va in una direzione, mentre la testa si rivolta indietro a guardare la croce.
Secondo Beigbeder, quando l'Agnello va verso destra, il riferimento è principalmente apocalittico; quando va verso sinistra prevale l'allusione al sacrificio della croce.
CITAZIONE
C'erano due letture diverse, quella di S. Ireneo e di S. Ippolito, a riguardo dell'identificazione dei vari animali simbolici con gli evangelisti: mi pare che S. Girolamo prediligesse quella di Ireneo, S. Agostino fosse per quella di Ippolito, ed in ultimo, sulla scia della Vulgata, si seguì l'identificazioni girolomina. Ma comparendo "separati" dovrebbero essere sempre e comunque simboli evangelici, no? Quelle citate nell'Apocalisse non erano esseri a 4 faccie? Poi non ho capito bene come la visione apocalittica si legasse con quella di Ezechiele, anzi, per la verità ho capito ben poco della visione di Ezechiele, che sarà stato il grande profeta che fu ma, bontà sua, non si spiegava esattamente in maniera semplice...

Mi sono andato a vedere un manuale dove si riporta che Ireneo, in effetti, si rifece principalmente alla visione di Ezechiele, nella quale i quattro animali avevano ciascuno quattro teste.
Nell'Apocalisse di Giovanni 4,6 - 9 però gli animali sono descritti con un aspetto peculiare
"e davanti al trono c’era come un mare di vetro, simile al cristallo; e in mezzo al trono e attorno al trono, quattro creature viventi, piene d’occhi davanti e di dietro.
7 E la prima creatura vivente era simile a un leone, e la seconda simile a un vitello, e la terza avea la faccia come d’un uomo, e la quarta era simile a un’aquila volante.
8 E le quattro creature viventi avevano ognuna sei ali, ed eran piene d’occhi all’intorno e di dentro, e non restavan mai, giorno e notte, di dire: Santo, santo, santo è il Signore Iddio, l’Onnipotente, che era, che è, e che viene.
Quindi sono questi gli animali del tetramorfo e il collegamento di essi con i quattro evangelisti, almeno nell'iconografia, mi pare avvenga nel corso del V secolo (quando anche l'Apocalisse di Giovanni, se non sbaglio, entra a far parte dei testi canonici).
Quindi, quando gli animali sono mostrati senza l'attributo del libro, essi allora dovrebbero riferirsi semplicemente al tetramorfo apocalittico e non ancora ai simboli degli evangelisti.
Ciao.
 
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7 replies since 17/6/2009, 10:26   295 views
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